mercoledì 5 aprile 2017

LA PIOGGIA NEL PINETO

Amo.
Amerò per sempre questa poesia, che lego fortissimamente a un ricordo dolcissimo, forte, incredibilmente romantico, come pochi altri ne ho avuti nella mia vita.

Si chiamava Raffaele, ed era bellissimo. Mi diceva che mi amava perché ero pazza, differente, schietta, e sembrava non farmi paura niente!
Eravamo a Piazzale Michelangelo quando improvvisamente ci sorprese un temporale, proprio sulla panchina dove ci stavamo appassionatamente baciando.

Lui si tolse velocemente la giacca e ci coprì le teste, e cominciò a recitarmi La Pioggia nel Pineto di D'Annunzio.
A memoria.

Come non sentirmi ancora oggi un po' innamorata di quel ragazzo? Avevamo diciotto anni.
Fradici e felici.

Pensare che ogni volta che ho raccontato come mai questa poesia mi riempia di gioia e passione, qualcuno ha cercato di superare quel ricordo. Chi scrivendomela e infilandola dentro ad un Cd, chi chiamandomi Ermione...

Eppure l'unico modo per farmi vibrare con questi versi è uno solo: aspettare che piova, e portarmi fuori, sotto la pioggia scrosciante, baciarmi dolcemente, e sussurrarmi anche solo poche di queste meravigliose parole... Sarò tua per sempre in quel momento.

Eccola. La mia sola ode alla pioggia...

La pioggia nel pineto
Taci. Su le soglie del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.  
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitìo che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde  più rade,
men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.  
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.  
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pèsca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti  silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti  leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude  novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.

Nessun commento:

Posta un commento